Gli occhi di mio padre  

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“E’ ragionevole, in effetti,” convenne Lily. “Dovrei cambiarmi d’abito. Se la casa è…”
“No, miss Lily, non ce ne sarà bisogno: sarò io ad uscire,” disse il cane.
“E per quale motivo, di grazia?” replicò l’altra, inarcando un sopracciglio.
“Perché è giusto che le signore siano… al sicuro. Sono un maschio, dopotutto, so dif…”
“Per sua informazione, Miles, non esiste alcuna norma, neanche la Livrea, che ponga per qualche motivo voi maschi al di sopra del nostro sesso,” l’interruppe lei, avvicinandosi. Scorse sul tavolo il coltello che Ferguson aveva utilizzato per affettare il pane: lo prese e glielo puntò al petto con una mossa rapida, cogliendolo di sorpresa. “E, secondo, in quanto ad attacco e difesa non mi sembra di cavarmela così male.”
“Forse non ha tutti i torti,” concesse Ferguson, scostando con delicatezza il coltello dal suo torace. “Ma penso che sia comunque molto pericoloso, miss Lily.”
“Si fidi di me, Miles. Andrò io là fuori. Lei è più indicato di me nel cercare gli accessi al terzo piano e gli elementi scritti nel taccuino di mio padre: i suoi occhi sono certamente più abili dei miei,” disse, uscendo dalla stanza.
Salì al piano superiore, dove sapeva essere ubicata la stanza da letto di sua madre. Come si era aspettata, non era solo il mobilio ad essere stato accuratamente riprodotto, ma anche tutto ciò che vi era contenuto, compresi quindi gli abiti. Disposti secondo la raffinatezza di tessuti e ricami, all’interno dell’armadio, che ricopriva l’intera parete, erano contenuti almeno venti abiti in tutto e per tutto identici a quelli che sua madre era solita indossare. Lily storse il muso, alla vista di quella pletora di grigi, neri e marroni, ma pensò che adattarsi alla Livrea, almeno per quella volta, sarebbe stata un’idea quantomeno utile per non dare nell’occhio: al contrario, con indosso uno dei propri abiti dai colori sgargianti sarebbe stata fin troppo riconoscibile.
Ne prese uno qualsiasi e lo indossò dopo essersi lavata. Lo specchio le restituì la figura di sua madre, solo meno florida e dai capelli in totale disordine.
Il suono dei passi di Ferguson in direzione della porta aperta della stanza la distrasse. “La somiglianza è straordinaria, miss Lily,” disse.
“Con mia madre, intende dire?”
“Certo.”
“E’ per caso un complimento, Miles?”
“Be’… sì, era inteso come un complimento, miss Lily, certo.”
“Ne sono onorata, allora.” Si voltò verso di lui. “Ma l’avverto che non sopporto di essere paragonata a lei. Lo hanno sempre fatto tutti, ma nessuno si è mai soffermato a capire quali siano le nostre differenze, al di là della Livrea. E io non sono come lei. Non mi chiamo Margaret Edgecombe, mi chiamo Lily Edgecombe.”
“Infatti, miss Lily. Lei ha gli occhi di suo padre.”
“Davvero, Miles?” chiese, lasciando cadere per un attimo la maschera compunta e decisa che aveva indossato poco prima. “Erano castani, i suoi,” fece, voltandosi verso lo specchio. “Molto scuri. Sono davvero così, i miei? Non sono più chiari?”
“Nel suo volto c’è molto di suo padre, miss Lily,” convenne Ferguson. “Ma temo non sia il momento migliore per i ricordi, signorina Edgecombe. Posso almeno accompagnarla fino alla porta?”
Lily strinse la fibbia della cintura sul ventre, per evitare che l’abito rimanesse troppo largo e scomodo, quindi si voltò verso il cane. “In questo, sarebbe un reale gentilcane, Miles.” 

This entry was posted on 7/27/2011 at 22:25 and is filed under . You can follow any responses to this entry through the comments feed .

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