Viene la sera  

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Saliti sui tetti della città, i fanti meccanici protesero le braccia l’uno verso l’altro. Quindi, con uno sbuffo e un rumore di metallo contro metallo, scagliarono le proprie mani meccaniche, mantenute connesse ai corpi da un lungo cavo metallico, contro i propri vicini, aggrappandosi l’un l’altro in un abbraccio che in breve coprì l’intera Londra come una pesante, cupa ragnatela.
Dopo aver pazientemente radunato i cadaveri dei Lord in un angolo dell’aula, la gatta soriana sfondò una delle vetrate del Parlamento, prese una delle propaggini meccaniche di uno dei fanti che si era inerpicato lungo le pareti dell’edificio e la tirò all’interno, porgendola quindi a Cromwell.
L’ariete le rivolse una lunga occhiata indagatrice, quindi si schiarì la gola.
“Sudditi!” tuonò. “Miei ritrovati, amati sudditi! Non riconoscerete la mia voce, forse, ma presto ricorderete. Presto vivrete nuovamente nel sogno del Protettorato, perché io, il vostro Lord Protettore, io, Oliver Cromwell, sono tornato!” La gatta si pose al suo fianco. “Sì, Inghilterra! Gioisci, ora che sei finalmente libera! Libera dai ceppi della tirannide, di Regine e dei Parlamenti, dei Lord e delle Camere.
“Chiedo a voi, miei nobili, amati e mai dimenticati sudditi, solo una cosa: obbedienza. Obbedienza al vostro Protettore, perché sono tornato dalla morte con il solo pensiero, con il solo desiderio di rendere ancora felice, ancora prospera, ancora trionfante sul mondo intero l’Inghilterra tutta. E lo farò, con tutte le mie forze, con tutte le mie energie e con tutto l’aiuto che potrete darmi!
“Inghilterra, rialzerai la testa, così come l’ho fatto io!”

Le ore passavano. Lo stomaco di Ferguson iniziò a brontolare.
“Avete fame, Miles?” chiese Lily, cercando di scrutare all’esterno da una minuscola fenditura fra gli scuri.
“Oh, vi chiedo scusa, miss Lily, non era mia intenzione…”
“Non fa nulla. Anche io sono affamata.” Lily si scostò dalla finestra, dirigendosi verso la cucina.
“No, non vi affannate, miss Lily, non ce n’è…”
“Sì che ce n’è bisogno, Miles,” replicò lei. “Lei è in grado di cucinare?” gli chiese, aprendo la dispensa.
“Io…”
“Lo immaginavo,” replicò la tasso, prelevando da un armadietto pane raffermo, patate e cipolle. “Ma siete fortunato: non c’è donna in casa Edgecombe che non sappia lavorare in cucina. E’ stata l’unica cosa utile che mia madre mi abbia mai insegnato.”
Ferguson sorrise, scuotendo la testa. “Se mi aveste lasciato terminare la frase, miss Lily, vi avrei potuto dire che sì, sono in grado di cucinare, anche se non metto in dubbio le sue abilità.” Afferrò un coltello e prese dalle sue mani una delle cipolle. “La mia non è una famiglia ricca, purtroppo, miss Lily: ho dovuto impegnarmi in numerosi lavori, pur di contribuire al nostro mantenimento. Fra i vari impieghi c’è stato anche quello di umile aiuto cuoco presso una lurida locanda della nostra città, piccolo impiego che mi ha consentito di imparare quel che so della cucina. E sarei… ben felice di mettere a sua disposizione le mie capacità, consentendole nel frattempo di concentrarsi sul lascito di suo padre. Che è ben più importante, in questo frangente, di un piatto di pane e cipolle, o quel che sarà.”
Lily porse al cane il resto del cibo che aveva trovato. “Vi ringrazio, Miles. Siete molto gentile.” Ferguson si limitò a scrollare le spalle, iniziando a frugare nelle dispense. “Io dunque… sarò… di là. A studiare,” disse lei, cercando di allontanarsi senza apparire troppo imbarazzata.
Si lasciò letteralmente cadere sulla poltrona, accanto al caminetto spento, consentendo alle emozioni della giornata di avere finalmente presa sul suo corpo. Si sentiva spossata, ora che poteva sentirsi al sicuro. Il proclama fatto da Cromwell poco tempo prima era stato un duro colpo per lei: il mondo era completamente impazzito, a quanto pareva. Si tolse gli occhiali e si massaggiò le tempie, presso cui sentiva accumularsi una massa pesante, preavviso della medesima, dolorosa emicrania che condivideva con sua madre.
“Miss Lily,” fece Ferguson, distogliendola dai suoi pensieri. Non si era resa conto che il pastore tedesco fosse uscito dalla cucina per portarle un bicchiere d’acqua. “Si sente bene?”
“Uh? Sì, Miles, mi scusi. Non si preoccupi, è solo… solo un po’ di emicrania. Sono stanca, lo ammetto,” disse, prendendo il bicchiere che lui le stava porgendo.
“Lo immaginavo. Beva: è solo un po’ d’acqua, ma potrà aiutarla a stare meglio.”
“Grazie mille, Miles. Lei è molto gentile.”
“Non lo dica neanche, miss Lily. Sto solo cercando di essere un… un gentilcane.”
Lei sorrise. “Se davvero mio padre ha riprodotto qui la mia casa, in fondo alla stanza deve esserci una vecchia pendola. Sarebbe così cortese da dirmi che ore sono, Miles?”
“Pochi minuti dopo le nove della sera, miss Lily.”
“E’ già così tardi?”
“Le consiglio di mangiare e di coricarsi, miss Lily. Domani mattina affronteremo ciò che verrà con maggior calma, soprattutto dopo una notte di ristoro e una bella colazione.”
Lily gettò un’occhiata al volume che suo padre le aveva lasciato e sospirò. “E’ più che ragionevole, Miles.”

This entry was posted on 6/05/2011 at 21:40 and is filed under . You can follow any responses to this entry through the comments feed .

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